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Eugenio
Barsanti - L'inventore del motore a scoppio
Di Eugenio Barsanti probabilmente in pochi hanno sentito
parlare. Dovete sapere invece che la storia dell'automobile deve, a questo sacerdote
prestato alla scienza, moltissimo. La sua è una storia curiosa e importante,
che ha contribuito a cambiare
il mondo dei trasporti già nella metà dell'Ottocento.
L'automobile, come invenzione, ha circa 130 anni, ma senza i
passi da gigante dovuti agli inventori italiani, Barsanti
e Matteucci, probabilmente non sarebbe nata.
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Contrariamente
a quanto si crede, infatti, la creazione del primo motore a
quattro tempi - quello di Nikolaus Otto che, associandosi
a Karl Benz, portò alla nascita del Benz Velociped
datata 1886 - è la conseguenza della scoperta di un insegnante
di fisica di
Pietrasanta, Padre Eugenio Barsanti, e degli
sviluppi realizzati da questi assieme ad un ingegnere di
Lucca,
Felice Matteucci.
Era infatti il 6 giugno 1853, ben 14 anni
prima rispetto al brevetto di Nikolaus Otto, quando Eugenio Barsanti e
Felice Matteucci depositarono all'Accademia dei Georgofili
di
Firenze
(non esisteva ancora un ufficio brevetti) un documento con la
descrizione dell'invenzione del primo motore a scoppio della
storia.
Eugenio Barsanti era un sacerdote, ma anche un fisico e matematico. Nacque nel
1821 a
Pietrasanta, in
Versilia, provincia di Lucca, con il nome di Nicolò. A soli 17 anni decise
di entrare nel convento di Sant'Agostino di Pietrasanta,
sotto la direzione accademica della congregazione dei padri
Scolopi. Vi entrò per poter studiare alla scuola scientifica
del convento. Venne ordinato sacerdote qualche tempo dopo
con il nome di padre Eugenio, non prima di aver conseguito gli
studi superiori con ottimi risultati in tutte le materie e in
particolare in quelle scientifiche.
Quelli di Barsanti erano tempi di fermento e sperimentazione
industriale. L'energia a vapore portava avanti i trasporti e gli
strumenti necessari alle infrastrutture del tempo. Fu così che
padre Eugenio, finito il noviziato, decise di frequentare il
collegio San Giovannino, fino a quando più tardi fu chiamato
all'insegnamento di fisica e matematica a
Volterra, presso il collegio di San Michele.
Era l'anno 1843 e, rispetto agli altri insegnanti Barsanti era
chiamato "il maestrino", data la giovane età e la corporatura
esile. A ben altro erano in effetti abituati gli alunni. Fu
proprio a Volterra che approfondì quella che inizialmente fu
solo un'idea: usare lo scoppio di una miscela di aria e di gas
per produrre una nuova forza motrice. Per far questo si
servì proprio di una riproduzione della pistola di Alessandro
Volta (il grande fisico
italiano) detta anche "pistola elettroflogopneumatica" o
semplicemente "pistola di Volta", una sorta di recipiente
dal collo lungo, che egli personalmente si era costruito e che,
riempita con idrogeno e aria e poi chiusa ermeticamente con un
tappo di sughero e una sbarra in ottone, riuscì a far scoppiare
attraverso lo scoccare di una scintilla elettrica. Lo scoppio
dell'arnese fu tale che venne catapultato sul soffitto, con
grande spavento degli alunni ma dimostrando come tale scintilla
avesse potuto innescare lo scoppio del recipiente e la
propulsione dello stesso. Aveva Barsanti creato una nuova
forza, capace di generare movimento? Pare proprio di si: Volta
aveva scoperto la detonazione, Barsanti a questa aveva aggiunto una forza motrice.
Il collegio
era troppo "stretto" per le intuizioni geniali
di Barsanti e il destino volle che proseguisse le sue
sperimentazioni in fisica all'Osservatorio Ximeniano di
Firenze (oggi parte dell'Istituto Nazionale di
Geofisica e Vulcanologia), struttura di livello universitario, dove
ebbe anche modo di incontrare Felice Matteucci, anch'egli
lucchese, che in quel
periodo lavorava alla bonifica del lago di Bientina, e
con il quale collaborerà per il resto della vita. Ancora oggi,
nell'Istituto è custodito il cosiddetto "Barsanti Matteucci",
la riproduzione del primo motore a scoppio a combustione
interna, costruito nel 1860 presso le Officine Bernini di
Firenze. L'invenzione consisteva in una macchina che non
aveva bisogno di entrare in pressione come quella a vapore, ma
che necessitava di una semplice accensione per poter partire. I
lavori dei due avevano già portato nel 1853 al deposito dei
brevetti in diversi paesi europei quali Gran Bretagna,
Francia, Italia e Germania, oltre al deposito atti presso l'Accademia
dei Georgofili di Firenze. L'intesa e la collaborazione tra
i due fu tale che insieme istituirono una società, la Società per il nuovo motore
Barsanti e Matteucci.
La scoperta di per sé grandiosa in termini scientifici, lo era
anche in termini economici, considerando che la macchina a vapore
produceva una forza al costo di 12 centesimi, contro i due
centesimi necessari alla produzione di forza nella nuova scoperta. Nonostante
il deposito dei brevetti, il riconoscimento pratico oltre i confini italiani
non fu un gran successo: in altri Paesi europei pareva
preferirsi utilizzare il brevetto di un certo Etienne Lenoir
(franco-belga), anche se depositato qualche anno dopo rispetto a
quello italiano. La collaborazione tra i due fisici italiani
comunque non si fermò e portò alla realizzazione di nuovi
prototipi (anche con l'ausilio di diverse officine, tra cui
quella di Giovanni Battista Babacci, un meccanico di
Forlì, e della ditta Escherwyss di Zurigo).
Nel 1864 proprio in Belgio, a
Liegi, la società mineraria di John Cockeril
decise di usare il motore di Barsanti per una prima produzione
in serie, perché fu provato essere molto più efficiente rispetto
a
quello di Lenoir, così come era risultato dal
prototipo costruito nelle officine Bauer di Milano.
La vita di padre Eugenio Barsanti fu tutta studio,
sperimentazione fisica e dovere ecclesiastico. Morì di una forma
acuta di febbre tifoide il 19 aprile 1864, a soli 43
anni, mentre si accingeva a raggiungere Seraing in
Belgio, dove doveva partecipare all'avvio
della costruzione in serie del suo motore. Alla sua scomparsa Matteucci non ebbe fortuna nel perseguire la tutela e la
commercializzazione dei meccanismi progettati con Barsanti, che
vennero infatti sopraffatti dalla rivendicazione dell'invenzione
del motore a scoppio da parte di Nilolaus August Otto
e diversi altri che a
quest'ultimo rivendicavano il brevetto (tra cui
Christian Reithmann nel
1860 e Alphonse Beau de Rochas
nel 1862).
Pietrasanta ricorda Eugenio Barsanti anche grazie agli scritti
oggi custoditi nell'archivio della biblioteca del Museo
Galileo a Firenze (già Istituto e Museo di Storia della Scienza).
Le sue spoglie, dopo essere state traslate diverse volte,
riposano oggi nella
Basilica di Santa Croce a Firenze.
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